Bleach Soul Society

Dim Lights

Scena ON-GDR per Deadlight & Alizabetha /Helena

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    What Am I?






    London


    Erano passate come ere da quando venni al mondo, anzi cambiai.
    Il mio vecchio io era deceduto dentro di me, tenuto in un angolo del mio mostruoso essere.
    Ero ancora a Londra, per chissà quanto tempo sono rimasto in questo luogo non lo so. La mia vita era continuata nell'oscurità di tutto e di tutti.
    Da quella volta in cui "nacqui" non incontrai più alcun essere mostruoso uguale a me, né qualche altra persona ammantata in un kimono nero, brandente una katana. Risiedetti nel luogo in cui il mio io umano perse la vita ed il suo stesso essere, come se ancora qualcosa mi legasse a quel vicolo oscuro. Rimasi sempre in quell'angolo, dove il sangue colò giù, schizzato fuori dal petto di Jorge.
    Rimasi come in una forma di stasi, mentre il giorno e la notte si alternavano, e con essa i mesi, e le stagioni.
    Mi addormentai quasi, come se non riuscissi a far altro. Mi addormentai per un lungo tempo, lunghissimo...

    Poi un urlo, una ragazza. Mi ripresi, ed aprii di nuovo gli occhi, i miei occhi, gialli e tetri. Guardai al di là della mia bianca maschera e mi cercai di ergere su due gambe, le forze ormai erano pressoché minime e la fame mi stava divorando, ma fame di cosa?
    Non mi era stato detto nulla, cosa ero?
    Non mi era stato detto di far nulla, perché esistevo yet?

    Guardai, guardai come una povera ragazza che poteva avere si e no 20anni a malapena, carnaggione bianca latte, occhi color corvino come i mossi e lunghi capelli che le ricadevano fin sotto le spalle, vestita con un indumento da sera bianco, stesse per essere stuprata, difronte al mio essere, da un demone, da un uomo che di umano non aveva nulla, se non l'impulso sessuale.
    Mi avvicinai, lentamente, verso l'energumeno, che in quell'attimo aveva fatto cadere la povera ragazza a terra, e stava per denudarla.
    Era notte, e la luna echeggiava nell'immensità del cielo, con tutto il suo splendore.
    La mia sfera luminosa, della mia coda, echeggiava con lei, seppur sembrava fioca e tendesse quasi a scomparire.
    Fu quando stava per estrarre pure le mutandine che agii. Allungai il mio arto sinistro sopra di lui e lo presi con la mano, o meglio con gli artigli, per la testa. Lo alzai da terra e, nel suo e della ragazza sgomento, lo girai verso di me, mentre dai fori sulla sua testa, in corrispondenza delle mie unghie incominciava a grondare sangue.

    Avevo fame. Qualsiasi cosa avrei fatto per poter placare quella dannatissima fame, e proprio lui sembrava essere, in quel momento, l'unica cosa che potesse placarmi da quell'immenso dolore.
    Gli schiacciai il cranio, ricoprendo le mura del vicolo e parte del vestito e del corpo della giovane dal sangue.
    Inutile dire che un'altro urlo si levò, sempre della ragazza, terrorizzata difronte alla scena che le si proponeva davanti.
    Il suo stupratore, ucciso da un'essere demoniaco che sicuramente lei stessa non poteva neanche né vedere né immaginar.
    Lasciai andare il corpo, ormai "decapitato", a terra e notai che da esso si separò un duplice dell'uomo, con una catenina al petto, la sua anima.
    Era ancora incosciente, e decisi di intervenire. L'afferrai per il ventre e l'avvicinai alla mia maschera.
    Aprii la mascella e lo divorai, senza che potesse dir nulla.
    Mi nutrii, e per quel momento la fame che mi distruggeva sembrò placarsi.
    Le energie sembrarono pure ritornare e la mia mente eliminò la confusione che dominava, quasi, il mio essere.

    Non potevo stare più lì, non dopo ciò che avevo appena fatto. Istintivamente lo sapevo, sarebbe di sicuro arrivato qualcuno ad investigare sull'accaduto e sarei stato scoperto, la mia tana sarebbe stata sgamata ed io di sicuro annientato.
    Era notte, una notte simile a quella che prese la mia vita e la cancellò dalla lista dei viventi.
    Mi diressi verso il Westminster Bridge, ricordando come da essere umano adoravo passeggiare lì, guardare i turisti che si facevano le foto insieme ai "mendicanti" fenomeni, come quello di michael jackson, che era anche il più loquace e amichevole che mai la mia controparte conobbe.
    Rimasi dunque lì, a metà del ponte, a guardare la luna, piena, che si rispecchiava nelle increspature del Tamigi, accanto alla figura della riflessione del London Eye.

    Cosa sono?

    Parlai, a maschera chiusa, sperando che qualcuno mi potesse udire.
    Stavo sul parapetto del muro, sopra ad esso, in forma quasi fetale, con le mani che penzolavano accanto alla mia figura, e la lunga coda portata verso l'alto, con la terminanza bipuntuta rivolta verso la luna, e con essa la sfera luminescente, più luminosa di prima, seppur ancora fioca.
     
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    The queen (I): Boredom



    La luna splendeva pigramente sopra le nere acque del Tamigi.
    La fissava, come un unico enorme occhio spalancato, un occhio aperto e palpitante.
    Quella era Londra, la capitale del Regno Unito, la perla d'Inghilterra, una delle più fervide metropoli della storia.
    Quella era la città di Dickens, di Elisabetta I, di Shakespeare, di Milton.
    Laggiù erano vissuti Edgar Allan Poe, Lovecraft e aveva imperversato Jack lo squartatore.
    Quella era Londra, la città della nebbia, dei suggestivi luoghi storici e della notte.
    Quella era una delle capitali del turismo, eppure, qualcosa mancava.
    A lei che camminava per quelle vie, un sacchetto di carta unto in mano, qualcosa non andava proprio.
    Liza sospirò profondamente, mentre evitava la folla attorno a lei.
    Non che potessero vederla, a lei non importava, tuttavia tale era la sua densità spirituale, che facilmente avrebbero potuto toccarla.
    Percepire la sua presenza, e ancora peggio, qualcuno avrebbe potuto allertare la Soul Society facendo finire prematuramente la sua ennesima vacanza.
    Ultimamente si stava prendendo anche troppe vacanze, in effetti.
    Eppure il mondo dei vivi era così attraente, così vivo, così pulsante di vita.
    Incredibilmente diverso dal piattume monocromo dell' Hueco Mundo.
    Era vero, Las Noches era una metropoli esattamente come Londra, brulicante di abitanti e in continua espansione...
    Ma il tutto, si esauriva lì.
    I suoi abitanti in fondo erano Hollows, creature prive di anima, scevre di sentimenti....
    Pochi tra loro potevano anche solo rivelarsi una compagnia a malapena decente.
    Alcuni, non erano buoni nemmeno come animali da compagnia.
    Continuò pigramente a passeggiare lungo le vie sino a giungere davanti al Westminster Bridge, e arrivata ad una delle due banchine, laddove il ponte si congiungeva con la sponda, si appoggiò con i gomiti al parapetto, lasciando che il Tamigi scorresse sotto di lei.
    Sollevò lo sguardo alla luna, e sospirò.
    Sua Eccellenza era sempre più occupato con i preparativi per la guerra e non la degnava di uno sguardo.
    Le sue fracciòn avevano il loro daffare nello svolgere il ruolo di segretarie e ambasciatrici.
    Helena, carne della sua carne, parte della sua stessa anima era ancora più occupata a dirigere il tutto.
    E questo la lasciava sola.
    Come quando ancora portava una maschera...
    Portò lentamente una mano alle due piccole sporgenze cornee che raccoglievano i suoi capelli.
    I suoi occhi cremisi si chiusero come due fessure, mentre lo sconforto si impadroniva di lei.
    Si annoiava, molto, incredibilmente, aveva bisogno di qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri.

    Improvvisamente la sua attenzione venne attratta da una piccola luce a pochi metri di distanza.
    Si muoveva erraticamente in aria, come una creatura viva...
    No, non era propriamente vero.
    Espandendo i propri sensi affinatissimi Liza percepì distintamente la presenza di una creatura lì a fianco.
    Un hollow, un esemplare ancora immaturo, probabilmente nato da poco.
    Tutto ciò la innervosì, odiava gli hollow, ancora di più quelli neonati.
    Così sciocchi, senza cervello, posseduti solo dai loro bassi istinti.
    Creature selvagge che pensavano unicamente a nutrirsi e poco altro.
    Pure questo esemplare aveva mangiato da poco.
    L'odore di sangue ancora fresco solleticò le sue narici.
    Se non altro rimuovere questo insetto le avrebbe rallegrato un po' la serata.
    Non tanto per la violenza in se, quella la deprecava, quanto per il fatto che avrebbe potuto finalmente ventilare un po' della sua frustrazione.

    Così con passi leggeri si mosse verso la creatura.
    I suoi abiti, intessuti dal suo sarto personale a Las Noches, frusciarono nel vento.
    Una giacca e un paio di pantaloni dal taglio semplice, quasi militare, di stoffa color Khaki.
    Purtroppo come tutti, anche gli arrancar non brillavano per originalità.
    Sollevò la mano nell' aria, preparandosi a fulminarlo con una breve esplosione di energia attinica, quando alcune parole la raggiunsero.
    Quell' essere, sapeva dunque parlare.
    Un sorriso felino di allegria si dipinse sul volto della giovane, mentre istantaneamente abbandonava i propri mortiferi propositi.

    Cosa sono?

    Aveva detto.
    E forse era tempo per lei di dargli una risposta a modo suo.
    Si avvicinò al parapetto facendo finta di nulla, come se non avesse visto l'enorme creatura.
    Si mise con i gomiti sul parapetto e finse di scrutare la luna per un paio di minuti, prima di aggiungere, i lunghi capelli neri che ondeggiavano nell' aria.
    Poi improvvisamente disse, con aria pensierosa

    Un mostro, un demone, un divoratore di anime...
    Una creatura malvagia, una anima in pena, direbbero alcuni.
    Ma secondo me la domanda di per se è sbagliata.


    Attese qualche secondo, per lasciare che l'attenzione dell'hollow si concentrasse su di lei, poi si girò con le spalle al fiume, guardando la creatura diritta negli occhi.
    Le sue iridi scarlatte scintillarono alla luce dei lampioni, mentre riprendeva a parlare.

    La domanda giusta dovrebbe essere...
    Non cosa, ma CHI sei.


    Inclinò la testa di lato sfoggiando un affabile sorriso e aggiunse, con un leggero inchino della testa.
    Il suo inglese leggermente deformato da un vago accento nipponico

    Good Evening, my friend.


     
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    Deadlight



    Rimasi lì, quasi ad interrogare la luna, e le stelle, senza accorgermi che probabilmente avevo attirato l'attenzione di qualcuno, cosa che comunque volevo evitare...
    Ma non sembrò aver aria minacciosa, non per il mio essere.

    Non mi girai minimamente a guardare chi fosse, rimasi semplicemente lì a fissare il nulla, mentre ciò che sembrava esser una ragazza rispose alla domanda che mi ero autoposto.


    Un mostro, un demone, un divoratore di anime...
    Una creatura malvagia, una anima in pena, direbbero alcuni.
    Ma secondo me la domanda di per se è sbagliata.


    Le sue frasi risuonarono nella mia testa...
    Si, l'avevo capito che ero diventato un mostro, e potevo intendere da quell'istinto primordiale che mi assalì qualche minuto prima che ero un divoratore di anime.
    Un anima, ecco. La risposta comunque venne fuori.
    Ero un'anima, lasciata marcire in un mondo ormai non più suo.
    Una volta carpito ciò mi volsi, a guardarla, a guardare chi era desideroso di interpellare un rosso mostro come me.
    Come dalla voce che aveva parlato, avevo capito che si trattava di una figura femminile, e ne ebbi conferma dall'osservazione del suo essere.
    No, non sembrava essere un umana, bensì qualcosa di più complesso.
    Alla sua vista mi sembrò quasi di sprofondare sotto il peso di un'intera montagna, ma stavo tranquillamente nella mia posizione, con la coda che sguizzava a destra e manca.


    La domanda giusta dovrebbe essere...
    Non cosa, ma CHI sei.


    Queste furono le parole che mi fecero capire che senza un nome non potevo esser completo, e che il mio nome da umano non rispecchiava il mio essere.
    Infondo non ero più Jorge Blackhood, ma qualcosa di più, di più primordiale, di più "vivo", in un certo senso.
    Ritornai a guardare la luna, portando le punte della mia coda difronte a me, facendola passare al di sopra di me.
    Rimasi un attimo a comparare la luce lunare con la fioca luce della "mia" sfera lucente.


    Un riflesso luminoso, come la luce lunare.
    Una luce morta ancor prima di vivere, ecco cosa sono.
    Si, Deadlight.


    La mia voce fuoriusciva dalla maschera, che rimaneva chiusa, quasi ovattata, ma che sembrava pronunciata da un mostro dalla forma di rettile, quale in effetti io ero.
    Ma la mia psiche venne folgorata dalla curiosità di chi fosse quella ragazza che ora risiedeva accanto a me, appoggiata di schiena al parapetto e che sembrava fissarmi, quasi con un'aria di aver trovato ciò che cercava.


    Good Evening, my friend.

    Who are you?

    Parlai praticamente in sua contemporanea, parlando a differenza sua, un perfetto londinese, quant'è vero che sembrava quasi avessi pronunciato una sola parola.

    And why are you there, near a demon like myself?

    Mi rigirai, o meglio, girai soltanto la testa, in sua direzione, fissandola, anche se i miei occhi erano ben celati dalle piccole fessure della mia maschera, che mi dava un'aspetto, ad occhi indiscreti, di un essere privo di vista, seppur non avessi alcuna limitazione visiva.
    La coda ritornò dietro il mio essere, andandosi a poggiare lievemente al terreno.
    La sfera di luce fioca risplendeva, e si trovava quasi ad accarezzare la pavimentazione quasi uniforme del ponte.
    Intanto i passanti passeggiavano tranquillamente, non curandosi né di me né della figura femminile accanto a me.
    Forse, probabilmente, neanche lei era umana, ma qualcosa che la mia povera mente non avrebbe mai potuto immaginare, neanche fra milioni di eoni.
    Addirittura un ragazzino si era fatto scattare una foto, accanto ai nostri due esseri, facendo perfettamente entrare nella foto sia me che la ragazza, ma che dalla posa che aveva preso si vedeva benissimo che non ci avevano notati.
    Si, non potevano vederci, ed era sicuramente normale.
     
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    The queen (II): The fairy Mabd





    Who are you?
    And why are you there, near a demon like myself?


    Quelle parole risuonarono nella sua mente come un campanello.
    Era facile, così facile, la sua mente oramai aveva trasceso gli esseri umani.
    Memorizzare, imparare una lingua, era così facile.
    Con la sua trasformazione in Arrancar era tutto divenuto più comprensibile.
    Le lingue degli esseri umani, erano tutte così elementari.
    Concetti, elementi flessivi, immagini, suoni, la lingua era irrilevante.
    Una volta compreso il meccanismo tutto diveniva replicabile.
    L'inglese poi, non era differente, l'accento londinese, quasi Oxfordiano, rendeva il tutto ancora più facile.
    La voce rauca, arrochita da una morte carica di sofferenze sciupava leggermente quell' idioma così elegante.
    Era come guardare un quadro sfregiato da una coltellata.
    Una tela squarciata da un crudele pugnale d'acciaio, uno spreco, un vero spreco.
    Chiuse gli occhi concentrandosi sul suono di quelle parole, assimilandole, gustandole come un dolce.
    Pura estasi.
    Dal momento della sua resurrezione, ogni piccola cosa era divenuta una gioia.
    La vita umana in se, era un tesoro.
    Un caleidoscopio di esperienze, di eventi, di emozioni.
    Tutto soltanto perchè gli esseri umani erano consci della loro caducità.
    Era per quello, che non si voleva rassegnare alla sua immortalità.
    Lei Alizabetha Coraciero, era divenuta un arrancar.
    Un essere così longevo da poter essere considerato immortale.
    Dotato di una possanza indicibile, incapace di invecchiare, eternamente giovane.
    Liza, bramava disperatamente la gioia, che adesso poteva afferrare.
    Libera da quella maledizione che era la sete di sangue per gli hollows.
    Era giunta lì, nella capitale dell'antico Impero Britannico, per godere della folla.
    E inaspettatamente aveva trovato un interessante partner di conversazione.
    Un hollow giovane, ancora inesperto.
    Che forse, avrebbe potuto instradare verso una vita migliore.
    Era come...se indicare la via a qualcuno, potesse in un qualche modo ridurre la sua colpa.
    Sospirò, e con un sorriso fece un leggero salto atterrando sulla balaustra del ponte.
    In precario equilibrio.
    Il fiume sotto di lei, il vuoto attorno.
    Osservò le pupille dilatate dell'essere, fissandolo a sua volta con i suoi occhi cremisi.
    Sorrise, e saltò nel vuoto.

    Pochi istanti dopo risalì, il reiatsu sotto i suoi piedi che formava una piattaforma invisibile.
    E, come se nulla fosse, si mise a piroettare delicatamente nell' aria, a piccoli passi.
    Declamando con voce leggiadra le righe che poche ore prima aveva letto sul tetto della torre di Londra.

    "O, then, I see Queen Mab hath been with you.
    She is the fairies’ midwife, and she comes
    In shape no bigger than an agate-stone
    On the fore-finger of an alderman,
    Drawn with a team of little atomies
    Athwart men's noses as they lies asleep;
    Her wagon-spokes made of long spinners’ legs,
    The cover of the wings of grasshoppers,
    The traces of the smallest spider's web,
    The collars of the moonshine's wat'ry beams,
    Her whip of cricket's bone; the lash of film;
    Her waggoner a small grey-coated gnat,
    Not half so big as a round little worm
    Pricked from the lazy finger of a maid:
    Her chariot is an empty hazelnut
    Made by the joiner squirrel or old grub,
    Time out o’ mind the fairies’ coachmakers.
    And in this state she gallops night by night
    Through lovers’ brains, and then they dream of love;
    O’er courtiers’ knees, that dream on court'sies straight,
    O’er lawyers’ fingers, who straight dream on fees,
    O’er ladies' lips, who straight on kisses dream,
    Which oft the angry Mab with blisters plagues,
    Because their breaths with sweetmeats tainted are:
    Sometime she gallops o’er a courtier's nose,
    And then dreams he of smelling out a suit;
    And sometime comes she with a tithe-pig's tail
    Tickling a parson's nose as a’ lies asleep,
    Then dreams, he of another benefice:
    Sometime she driveth o’er a soldier's neck,
    And then dreams he of cutting foreign throats,
    Of breaches, ambuscadoes, Spanish blades,
    Of healths five-fathom deep; and then anon
    Drums in his ear, at which he starts and wakes,
    And being thus frighted swears a prayer or two
    And sleeps again. This is that very Mab
    That plaits the manes of horses in the night,
    And bakes the elflocks in foul sluttish hairs,
    Which once untangled, much misfortune bodes:
    This is the hag, when maids lie on their backs,
    That presses them and learns them first to bear,
    Making them women of good carriage:
    This is she—"



    Parole vuote, che solo a qualcuno avrebbero potuto ricordare Romeo and Juliet di William Shakespeare.
    Non era da lei farsi notare così, non era da lei attirare così l'attenzione.
    Eppure, sotto quella luna, sopra il fiume, c'era qualcosa che la spingeva a compiere follie.
    Come Mercutio, così geniale, eppure così annoiato dalla vita, sempre alla ricerca di nuove emozioni.
    Già, forse era così.
    Più che un Innamorato Romeo, o una Triste Giulietta, o un Violento Tebaldo.
    Lei era un Mercutio, una vittima delle emozioni.
    Schiava di una identità che aveva appena ritrovato.
    Danzò ancora per un paio di minuti, sospesa nell'aria, come una vera e propria fata, prima di fermarsi, a circa quattro metri più in alto rispetto al suo compagno di quella notte luminescente.
    E con la dignità di una regina, scese scalini invisibili, arrivando a pochi centimetri dal volto mascherato dell'hollow.
    Portò una mano in avanti, carezzando con l'indice il mento della creatura.
    Era come l'addestratore che carezza una belva feroce.
    Tuttavia dei due, quella molto più pericolosa dei due, era lei.
    Strusciò l'indice sotto il mento della creatura, prima di sussurrare.


    Se lo desideri, puoi chiamarmi Mab.
    Come la regina dei sogni, la fata della notte, colei che regala sogni agli innamorati...
    E incubi ai condannati.


    Tirò indietro la testa, allontanandosi di un paio di passi, sempre sospesa in aria.
    La sua sagoma a poco a poco arrivò a sovrapporsi a quella della luna, prima di girarsi.
    La luna alle sue spalle, la circondava come un paio d'ali.
    La sua sagoma era completamente nera, solo i suoi occhi rubino scintillavano adesso alla luce dell'astro notturno.

    E sono qui per donarti qualcosa, amico mio.
    Tuttavia che cosa sia, dipende da te...
    Sarà un sogno...
    O sarà un incubo?


    E fu così, che la notte, ebbe veramente inizio.

    CITAZIONE
    Chiedo scusa per il muro di parlato, ma dopo anni di teatro inglese è una delle poche parti che mi ricordo a memoria XD

     
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3 replies since 9/5/2013, 21:42   75 views
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