Bleach Soul Society

Cruel Awakening...

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  1. Peppe|13|Gatsu
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    SPOILER (click to view)
    Narrazione
    Dialogo
    Pensiero


    Broken...
    Sekigahara, 1689.





    Anf... Anf...


    Correva, freneticamente, ansimante. Poteva sentire vivido il proprio cuore pulzargli in gola, quasi esplodendo. Fuggiva, si, ma da cosa?
    Sin dalla tenera età, sin da quando la ferrea disciplina militare era permeata in lui dalle gesta del proprio padre, sin da quando la convinzione che il ciclo vitale umano acquistasse significato nell'acquisire maggiore potere, aveva da sempre considerato perire in battaglia come la più onorevole delle morti.
    Non sarebbe importato quante mutilazioni avrebbe subito, quanto sangue avrebbe versato o richiesto. L'importante era sempre seguire le istruzioni impartite da un "superiore", qualcuno, ovvero, che avesse per meriti acquisito quella mole maggiore di potere.
    Ma ora aveva potuto osservare. Ora aveva potuto ascoltare.
    I corpi dei commilitoni riversi nel proprio sangue, le strazianti urla scaturite da dolorose, nette, amputazioni. L'agonia della morte, nelle smorfie dei morenti.
    Quale onore vi era in ciò?
    Correva, scappava.
    Dalle urla, dal pressante odore del sangue versato a litri come tributo ad un'insana brama primordiale. Voleva scappare dalla propria coscienza, dalla consapevolezza di essere stato innumerevoli volte complice e fautore di sittanta insensata cruenza.

    . . .


    Riprendeva fiato seduto a terra, con la schiena contro un albero, la testa china verso il basso. Non osava volgere il proprio sguardo al cielo. Non ne aveva la forza.
    La forza di affrontare i propri crimini, di chiederne vanamente perdono.
    Giaceva lì, temendo la morte, mentre lugubri fantasmi di "mezze smorfie" di morte continuavano a tomentarlo, insorgendo dai più remoti angoli della propria mente.
    Si rannicchiava, cingendo le ginocchia con entrambe le braccia, avvicinandole al torace per accomodarvi la testa, nascondendosi nel buio della propria disperazione.




    ... Mirror.
    Miyamoto, 1691.



    Due anni lontano da casa. Un gesto vigliacco, il suo. Pregno di paura.
    Paura di dover giustificare la propria vita ai cari dei deceduti sul campo.

    Una volta avrei temuto di dover giustificare una disfatta...


    Pensò con malinconica amarezza.
    Passo dopo passo, eccola, Miyamoto, dopo la grande collina. Dalla quota dell'altura la si poteva osservare. Per Musashi, tale vista fu fonte di gioia, seppur dilaniata da prementi sentimenti di rimorso. Un'esplosione di vitalità. Le fitte strade affollate, le campagne circostanti che pullulanti di lavoratori; ed il Tempio.
    Il luogo sacro all'interno del quale vigeva un'atmosfera di astoricità: ivi si ricercava la purezza, la perfezione, esuli dalle passioni del mondo.
    Non v'era luogo più meschino.
    Se una volta stimava coloro che ivi risiedevano, l'esperienza di circa due anni prima lo aveva costretto ad aprire gli occhi, infrangendo quello specchio distorcente quale potevano essere le dottrine militari, i dogmi religiosi, e qualsiasi superstizione o credenza, che dir si voglia, radicatasi nel trascorrere dei secoli nella mente umana.

    . . .


    Lo leggeva sui volti delle persone, nel loro malcelato modo di evitare un qualsiasi contatto, nel loro modo di osservarlo.
    Un fantasma. Ecco cos'era divenuto.
    Non aveva mai asserito tra sè che ricominciare una nuova vita sarebbe stato facile. Ma quella opprimente sensazione di subdolo odio sembrava soffocarlo, annientando ogni vana speranza di poter tornare a sorridere.
    Poi fu tutto così improvviso e sconvolgente.
    Una fitta, dietro la schiena, all'altezza del rene destro. Lentamente, il sangue "lavava" via il lerciume accumulatosi sulla propria tunica.
    Per un attimo sorrise, impercettibilmente.
    Se quest'atto di mera rabbia sarebbe servito a zittire la propria coscienza, a lavare via le proprie colpe, i propri peccati, sarebbe morto sereno. Sfortunatamente, la ferità non si rivelò mortale, regalandogli la coscienza della spregevole condizione umana.
    Per un attimo sorrise, impercettibilmente.
    Prima che, compiuto qualche barcollante passo in avanti, cadesse a terra, mentre il veleno paralizzante di cui la corta lama era cosparsa cominciasse ad irrigidire i muscoli del ronin.
    Una lenta agonia silente, che lo avrebbe accompagnato alla morte. Ma non così velocemente.
    Venne trascinato di peso dinanzi a quel monumento che tanto biasimava: il Tempio.
    Qui venne presto raggiunto da una fitta folla, preceduta da quello che, stando alle apparenze, sarebbe dovuto essere l'attuale "amministratore" della provincia di Miyamoto.
    Dal passo lento, solenne, si apprestò a raggiungere l'inerme ronin.
    Veste sfarzosa, turchese, che lo ricopriva dal torace sin ai piedi, lasciando nude le braccia, arricchite da bracciali in oro adornati, finemente adornati, con pietre di smeraldo. Il "buffo" dettaglio, era che i bracciali stessi ricordassero le fattezze di due serpenti, cingendo gli avambracci dell'oratore.

    Popolo di Miyamoto, lodate gli Dei!
    Essi vi hanno concesso nuovamente l'opportunità di ingraziarvi il vostro Signore. Egli vi chiede nuovamente prova della vostra fedeltà. Quest'uomo, reca ancor con sè le vestigia della resistenza del vostro villaggio.
    Porrei io stesso fine alla sua miserabile vita; ma, per Mia magnaminità, lascio a voi l'occasione di discolparvi dei vostri peccati!
    Purificatevi!


    Avrebbe sorriso, impercettibilmente. Parole di un buffone che non aveva sicuramente ben appreso il valore delle genti di quel villaggio.
    Si aspettava forse ponessero loro stessi fine alla vita di qualcuno che aveva difeso la loro stessa libertà?
    No.
    Eppure ciò che accadde parve dargli ragione.
    Dopo interminabili secondi di silenziosa attesa, potè meglio osservare lo sguardo dei presenti. Come animali persi nel buio, soggiogati dal bastone del padrone, essi cecavano di nascondersi nella folla e con essa immedesimarsi, per essere travolti dall'irrazionale violenza di una volontà piegata.
    Calci, pugni, bastoni, forconi...
    Pur di non perdere la propria vita, o vederla ancor più vessata dal potere despota da cui erano soggiogati, Miyamoto si prodigò in un efferabile quanto meschino omicidio di massa.
    La morte non fu indolore, ma cullata da straziante agonia, amplificata dai contorti riflessi e dal morso d'impotenza di cui la mente del ronin era divenuta serva.
    Come estraneata dal proprio corpo, come se sittanto dolore l'avesse catapultato al di fuori del proprio ego, Musashi, con le ultime energie, si slanciò in una muta maledizione verso le proprie genti.

    Uccidetemi, uccidetemi pure, miserabili vermi. Uccidetemi, come uccidereste vostro padre, vostro fratello, vostro marito! Uccidetemi come avreste ucciso chi ha combattuto per la vostra libertà!
    Schifosi vermi, che credete?! Ho ucciso anch'io!
    Ma non per paura, non per ricatto!
    Ma per la vostra stessa incolumità!
    Uccidetemi ora, schifosi pezzi di merda!
    Possa il mio fantasma perseguitare per l'eternità queste terre!


    Ed è con l'ultima esclamazione che la vista comincia ad appannarsi, chiusa in un velo di nebbia.
    Gli ultimi ricordi della propria vita non sono altri che questi.
    Insensibilità dal corpo martoriato ed il fetido odore di vermi impauriti coperto da quello del proprio sangue.
    Un ricordo ben lungi dall'essere quello che avrebbe desiderato. Poter finalmente chiamare Munisai-dono...

    ... padre.



    SPOILER (click to view)
    Scusate se son stato prolisso; spero solo la durezza del "semi-inglese" d'Olanda non abbia "imbastardito" il mio italiano ;)
     
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    Miyamoto, 2002.


    Overture: Requiem for a dreamer



    Il vento ondeggiava placido tra le cime degli alberi increspandoli e mandando le foglie a volare svariati metri più in la, volteggiavano placide nell'infinito spazio ceruleo del cielo, non vi erano nuvole quel giorno, eppure un'ombra scura copriva quel luogo, uno spiazzo erboso distante svariati kilometri dal più vicino centro abitato, un piccolo tempio dipinto di un rosso ormai eroso e scrostato dal tempo era l'unico punto di riferimento per un ipotetico viaggiatore che avese attraversato quei prati e quei campi oramai deserti, oramai solo una manciata di vecchi si ricordava della sua esistenza e ancora meno della sua funzione, una funzione che non avrebbe ricoperto ancora per molto.

    Decine di O-fuda, talismani scintoisti per sigillare le essenze dei demoni coprivano il legno marcio e corrotto del tempietto, la targa metallica da tempo consunta e coperta di verderame lasciava trasparire solo alcuni caratteri ideogrammici intraducibili da tempo a causa della corrosione e delle generazioni di ragnatele che vi si erano sedimentate, decine di migliaia di fiori bianchi ondeggiavano placidi al vento in quel piccolo angolo di paradiso, in cui tuttavia il loculo spiccava come il classico frutto proibito, circondato di rovi neri secchi e contorti; niente al giorno d'oggi testimoniava l'eroico sacrificio di diversi bonzi che avevano dato la vitaperfermare la bestia che dimorava in quel minuscolo altare, niente eccetto quel piccolo mucchio di assi.

    Un'altra raffica di vento, più forte delle altre, strappò alcuni talismani dalla superficie del legno che si unirono all'allegro valzer delle foglie come una pallida rimembranza di un autunno dimenticato; in oltre mezzo secolo dei cento O-fuda deposti solo uno rimaneva, pallida testimonianza della presenza di un male antico, insanabile, che affliggeva quella terra da tempo immemorabile, memento di un passato e di un peccato che non erano più rimembrati daalcuno eccedo che da ciò che era sepolto la dentro, un qualcosa che era stato privato della luce per decenni, e che mai più avrebbe dovuto rivederla.


    Miyamoto, 1691.



    Lo colpirono con spade, zappe, bastoni ed insulti, ne spezzarono il corpo e la mente, lo costrinsero alla follia,edegli li mutilò eli uccise, uno dopo l'altro,come cani, come bestie, comele creatureinferiori cheerano, esse non lo avevano capito, non lo avevano accettato e adesso avevano ciò che si meritavano, una morte dolorosa, violenta. La loro predasi muoveva silenziosa, sinuosa come una serpe portatrice di una sinfonia di morte: il clangore dell'acciaio, le urla di dolore il rumore del sangue checadeva a terra erano i suoi strumenti, ed egli li plasmava come molle creta facendone una sublime espressione del suo estro artistico.

    Infine come tutte le cose belle egli decadde,la massa lo sopraffece e si accanì su di lui, ne infranse il corpo e lo spirito, ma non ne intaccò l'anima, che adesso stranita e desiderosa di sangue si guardava attorno, mentre una catena solida come la gomena di una nave la ancorava al corpo, la massa adesso lo ignorava, poi venne la pioggia, pesante come un sudario che rese la terra fango e nel fango mischiò il sangue e l'acqua dando vita ad una terra rossa e putrida mentre l'aria, satura del lezzo della morte, iniziava a permeare l'ambiente.

    Lo spirito del guerriero caduto sollevò lo sguardo al cielo,una goccia di pioggia, dal gusto salato, gli scivolò lungo una guancia.



    SPOILER (click to view)
    Ok sei assunto comemio allievo! Adesso descrivi, (se possibile con il solito stile che hai adottato prima) il tuo risveglio dalla morte, le tue imprssioni i tuoi pensieri e le tue azioni (Entro certi limiti), fammi vedere meglio cosa sai fare.
     
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  3. Peppe|13|Gatsu
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    SPOILER (click to view)

    Ok. Ricevuto sensei. Tiriamo fuori qualcosa di bello da leggere ;)
    PS il tuo post mi ha "gasato". Semplicemente, fantastico.




    Raise your Sight to the sky...


    Un velo di nebbia, sottile, che, cullando il proprio trapasso, presto assunse la tinta della più tetra delle notti. Niente più furore. Niente più ferocia. Niente più ostilità.
    Tutto cessò in quel preciso istante, ingoiato dalla buia coltre dell'incoscienza.
    Diversi secondi trascorsero, senza che ne avesse coscienza; o meglio, senza che ne riuscisse a prendere coscienza.
    Pioggia. Pesante, fitta. Come un maglio su di un'incudine.
    Come la folla su di un cadavere.
    Strana quella sensazione. Ambigua.
    Preda di un torpore primordiale, come se si fosse svegliato or ora da un sonno senza tempo, avanzava tra una fitta folla dall'atteggiamento animalesco.
    Ebbre di sconosciuto idro, quelle bestie danzavano su di una frenetica movenza, calcando le orme della confusione che insaziabile dilaniava la mente del risvegliato, guidandone il ritmo dei morsi.
    Non riusciva a figurarsi, sconvolto da tanta "confusione".
    Sin quando, come sedata dalla pioggia stessa e dai fumi dell'orrendo delitto di cui si era resa fautrice, la "massa" rallentò il proprio valzer di morte, scemando su rumorose ansimate e riprendendo l'atteggiamento sottomissivo che tanto le si addiceva.
    Lentamente, all'avanzare di un uomo vestito di una tunica turchese, essa sembrò disperdersi dal fulcro in cui si era concentrata.
    Ivi giaceva un corpo, martoriato dalla folle mattanza di Miyamoto.
    Riverso nel proprio sangue, in una mistura arricchita dal polversoso terreno amalgamato dalla martellante incombenza dell'acqua piovana, giaceva un corpo. Irriconoscibile.
    Per l'indescrivibile cruenza di quel macabro dipinto di malvagità (?), deprecabile gusto(?), a stento riuscii a trattenere un improvviso conato di vomito.
    Fu per portare la mano alla bocca che, finalmente, mi accorsi di un oggetto che gravava sul mio io.
    Iniziando a domare quell'iniziale, caotico, intorpidimento, notai una catena che confluiva sin ad una piastra metallica sita al centro del mio petto.
    Sbigottimento! Chi aveva osato innestarmi una diavoleria del genere? Chi?
    L'avrei ucciso, punendo così il gesto azzardato dello sfidante.
    Una gabbia di nervosismo sembrava cingermi; non riuscivo a figurarmi come fosse stato possibile che ciò accadesse.
    E ricercavo in mè la causa, denigrandomi.
    Ma quello che vidi poi, fu sufficiente a destarmi, costringendo in un sol istante quell'intorpidimento, 'sì fastidioso, fuori dalle mie membra, restituendomi il tetro della mia memoria.

    Lo stesso uomo che mi "aveva offerto" alla massa, ora afferrava i capelli del mio cadavere, innalzandone la testa dal lerciume della tetra mistura di sangue e fango in cui versava e bisbigliando qualcosa che non riuscii a comprendere, travolto dal fiume in piena delle mie emozioni che non riuscivo a comprendere.
    Un flusso dirompente di odio, tristezza, rabbia, agonia, risentimento, disperazione... elementi che si mescolavano sapientemente in un unico amaro sapore tale da ardere ogni frammento d'umanità che ancora mi arricchiva...



    ... an your pain too.


    AhHhHHhHhHhh!


    Esplosi in un dirompente, muto, grido, allargando le braccia verso l'esterno, e volgendo il viso al cielo, vomitandovi contro tutta la mia rabbia, quasi a volerlo frantumare, facendolo ricadere sui presenti in innumerevoli, assassine, schegge.
    Quando il fiato venne spezzato, come consumato da quell'esplosione di primordiale disperazione, le mie gambe cedettero, costringendomi in ginocchio.
    Simultaneamente, le braccia ricaddero lungo i fianchi, mentre il solo viso ora si ostinava a sfidare il cielo, carezzato da diverse lacrime divine.
    Rimasi qualche minuto in quella posizione, quasi divorato dal vuoto creatosi dopo lo sfogo.
    Pochi minuti, prima che il vuoto venisse saziato da nuova, cocente, consapevolezza.
    Morendo, avevo maledetto il "mio" popolo, sperando che il mio fantasma li tormentasse.
    Mi chinai verso il basso, cercando di raggiungere il mio muto cadavere.
    Cercai di accarezzarne il volto, sfiorando il sangue che l'acqua non era ancora riuscita a lavare via. Ma un nuovo sconforto mi colse.
    Il freddo del mio corpo, solo parzialmente mitigato dal calore del sangue, fecero nascere in mè la consapevolezza di ciò che avevo lasciato; di quanti momenti di pseudo-felicità non avevo goduto a pieno, per riitrovarmi ora consumato dal rimorso. Volsi di nuovo lo sguardo intorno a me.

    Cani bastardi!


    Inveii.
    Il mio sguardo si stava spegnendo. Che quella catena significasse giovare di una seconda "vita" esclusivamente per rimanere vicino al mio cadavere?
    Assaporare per l'eternità i momenti della mia morte e lo sconforto più buio, lasciandomi da esso divorare?
    Quella che avevo vomitato sulla feroce folla sarebbe ora stata...
    ... la mia...

    ... maledizione?!

     
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    Miyamoto, 1691.


    Il guerriero caduto si ritrovò dunque ancora una volta solo in quel pantano putrido e melmoso che chiamava casa, una catena inscindibile lo univa alle sue spoglie mortali mentre la pioggia cadeva sempre più forte sferzandone il corpo con la violenza di una cascata inarrestabile e furiosa. Il cielo stesso piangeva per la morte di un così valoroso guerriero, eppure non uno degli abitanti veniva a rendergli omaggio, era stato abbandonato così, perchè i cani ne facessero scempio, era stao gettato via come uno straccio lacero e inutilizzabile.
    La notte trascorse in un dormiveglia concitato mentre sogno e incubi si sovrapponevano in un caleidoscopio onirico incomprensibile, realtà, fantasia, terrore, morte, si avvicendavano liberi lasciando lo spirito devastato ad annegare nella vischiosa polla della pazzia.
    Il mattino seguente quattro valligiani giunsero non appena albeggiava per rimuovere il corpo di un così nobile guerriero, lacrime rigavano i loro volti contriti mentre innalzavano peana ai cami per facilitare il trapasso del defunto.
    Il cuore del guerriero si rallegrò un po' qualcuno ancora lo amava, lafollia sembrò scemare...ma come una bestia feroce era ancora in agguato.
    Singhiozzando gli abitanti di Miyamoto discesero la collina sino ad arrivare in un boschetto, oltre cui si scorgeva una placida radura.
     
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  5. Peppe|13|Gatsu
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    CITAZIONE
    Flashback



    Memories.


    Era sì giunta anche la sua, atroce, morte.
    Abbandonato in una lurida pozza giaceva il proprio corpo, martoriato dalla paura del piccolo villaggio. Legato ad esso da una catena che dal corpo esanime giungeva sin ad una piastra metallica "installata" sul proprio addome, all'altezza dello stomaco, dimorava lo spirito del guerriero, divenuto famoso per lo stile di combattimento a due spade, così inusuale nel Giappone del tardo Settecento.
    Una lunga strada, la sua, lastricata di sangue, cadaveri, sfide.
    Ma anche di sacrifici, angoscie, dubbi.
    Ma ora tutto era finito.
    Lo spirito, spezzato dalla cruenza del fato, giaceva ora in ginocchio vicino al proprio cadavere, di guardia allo stesso, abbandonato in una putridescente pozza di fango e sangue. Il proprio sangue.
    Mentre ivi giaceva, come consumato dalla natura blasfema delle proprie emozioni, quello stesso fuoco che ardeva, alimentato dalle proprie viscere, sembrò avvampare di colpo, lasciandolo trasalire in febbrili visioni, frammenti del proprio passato, deformati dagli angustianti fumi del proprio subconscio, mosso da assassina follia.

    CITAZIONE

    Miyamoto, 18 anni prima




    Niente aveva significato. Mi rifugiavo nella foresta, correndo, cacciando, affinando i miei sensi e sottoponendo il tenero corpo di tredicenne a quell'estenuante, quanto "selvaggio", allenamento.
    Io sono il figlio de "Invincibile sotto il Sole", ed un giorno quel titolo sarà mio. Dovrà essere mio.
    Ti dimostrerò, padre, che sono in grado di batterti, ed allora verrò a riscuotere il mio titolo. Lo hai detto tu vero?
    "Solo uno può essere l'Invicibile sotto il Sole". E quello sarò io.

    . . .


    Sono forte. Molto forte. E lo dimostrerò a voi, voi tutti!
    Iniziai il mio viaggio, raggiungendo il villaggio confinante. Attraversando la foresta, a me sì cara, ivi giunsi finalmente, aramto di una spada di legno. Una bakudo d'addestramento. Cercavo una sfida. Con l'uomo più forte del villaggio.
    image
    Espresso il mio desiderio, la moltitudine rise di me, sin quando l'uomo, attirato dalle risa, giunse.
    Severo, spietato, circa mezzo metro più alto di me. Accettò la mia sfida.
    Lo sentii per la prima volta. Per la prima volta sperimentai quel brivido.
    Il brivido di porre la mia vita in un duello, in ogni duello. La mia volontà omicida era percepibile, tanto che l'uomo ne fu infastidito.
    In preda alla collera, corse verso di me, impugnando la propria katana.
    Un unico sibilo della spada impugnata a due mani. Un taglio verticale netto. Instintivamente mi mossi alla mia destra, evitandolo.
    Come in preda a febbrile eccitazione lo colpii con la bakudo, impugnandola con entrambe le mani, una sferzata veloce, alla nuca dell'uomo.
    Cadde a terra.
    Accecato, lo colpii ripetutamente, metre fiotti del suo sangue mi sozzavano le vesti. Una foga animalesca, la brama di sangue: il mio istinto omicida che si realizzava.
    La folla ridente presto divenne muta, per poi cadere facile preda della paura.
    Figlio del demonio!
    Così mi chiamavano.
    Bestia!
    Inveivano; ma nonappena il mio sguardo ricadde su di loro smisero di emettere anche il più sordo dei mugolii. Erano animali spaventati.

    image
    Cosa stava accadendo?! Perchè queste immagini si riproponevano alla mia memoria, perchè?!
    Saettavano nella mia mente. Come scintille nel buio mi colpivano.
    Si, il buio, potevo sentirlo cingermi in una presa angustiante. Come se mi rincorresse, come se fosse parte di me. Che stava succedendo... ?!
    Mi mozzava il respiro, ansimavo. Qualcuno mi osservava lo potevo sentire; cos'era, cos'era quella sensazione che mi sconvolgenva?
    Ero frenato, paralizzato. I muscoli del mio corpo lottavano contro la mia volontà, con il risultato evidente di un diffuso tremore che sconvolgeva le mie membra?
    Era paura?
    Ero divenuto io la preda?
    La preda della mia subconscia natura?
    L'aria mi mancava, non riuscivo a respirare. Eccola, tornava di nuovo a prendermi, l'oscura meretrice. Veniva a farmi visita una seconda volta.
    Di nuovo, calò il sipario.












    image


    Trasalii. Sotto l'incessante pioggia, forse stremato dalla tensione, ero scemato al suolo, accasciandomi di fianco al mio stesso cadavere. Non riuscivo, giuro, non riuscivo a comprendere il significato di quella mera visione. Il significato fuggiva lungi da me che invano tentavo di coglierlo.
    La rabbia sembrava scemare, sovrastata da un vessante sentimento di rassegnazione. Che quella fosse la mia misera fine, non v'era dubbio.
    Non si poteva cambiare il passato.



    Albeggiava.
    Quale tristezza; nemmeno le fioche carezze del sole, dopo la martellante pioggia, riuscirono a sollevare il mio spirito.
    Distrutto, sfiancato dal turbinio di quell'astio profondo che, infine, mi aveva corroso, rigettavo, annegando nell'immobilità del mio "nuovo" essere, quel così gentil gesto di magra consolazione che il cielo mi offriva. Poi scorsi due figure stagliarsi diritte dinanzi a me, a poco più di venti metri.
    Con passo lento, scandido da sbuffi di polvere che pigri si sollevavano dal terreno, queste si avvicinavano al mio cadavere.

    Otsu!


    Amica d'infanzia, abbandonata dinanzi a quel tempio, era cresciuta in una famiglia adottiva, non riuscendo però mai a superare il trauma dell'abbandono.
    Piangeva. Un pianto sincero, inarrestabile.
    Ora poteva ricordarla. La promessa.

    CITAZIONE

    Tu non mi abbandonerai mai, vero Mu'?
    Tsk! Non dire fesserie, non ti fidi di me?
    Promettimelo!
    Ok, ok... te lo prometto!


    Allora sembrava quasi un gioco di due bambini. Ma in realtà egli sapeva quanta paura d'essere abbandonata, essere sola al mondo, Otsu nutriva.
    E lui, aveva disatteso quella promessa.

    Otsu ti prego, perdonami...


    image
    Le avrebbe sussurrato prima di scoppiare in un pianto dirompente.
    Portò le mani al volto, spingendole con forza, chiudendosi nel buio.
    In quegli istanti, rivisse la propria morte.
    La folla che lo insultava, che gli si avventava contro.
    Delirio!
    Fu come tornare indietro nel tempo. In quei concitati istanti di confusione, sembrò rivivere, tornare indietro nel tempo.
    Di nuovo assaporare il dolore, per combattere.

    Cosa state facendo?!
    Ho una promessa da mantenere, levatevi di mezzo cani!
    Fermi!


    Di nuovo tutto s'interruppe. Di nuovo rinvenni.
    Ero distante da Miyamoto; una leggera brezza sconvolgeva i miei selvaggi capelli, carezzandoli.
    Una radura. Un pianeggiante terreno circondato dagli alberi, un luogo remoto nella foresta, in cui si poteva assaporare il gusto della solitudine.
    Sarebbe stato questo il luogo in cui avrebbero deciso di seppellirmi?
    Volsi il mio sguardo a Otsu. Non riusciva a frenare il tenue pianto.
    Finalmente, ebbi il coraggio di fissarla negli occhi, facendo qualche passo per raggiungerla.
    Quello che vidi... beh, quello che vidi fu il vuoto.
    La rassegnazione di una donna, di una bambina, di nuovo abbandonata, di nuovo sola.
    No, non me lo sarei mai perdonato.
    Non gliel'avrei mai perdonato.
    Dovevano pagare. Pagare per il crimine che avevano commesso verso quella creatura si innocente quanto pura.
    L'avrei giurato sul mio tumulo; avrei venduto l'anima al diavolo.
    Ma avrei avuto la mia vendetta.

    Giuro. Morirete tutti.
    Ve lo giuro.


    Trasalendo dall'empio sguardo di Otsu, l'astio di Musashi era rinvigorito, ma in una vena diversa.
    In una vena di lucida
    follia
    omicida
    .

    SPOILER (click to view)
    La placca è sita sullo stomaco => il buco sarà sullo stomaco.
    Io credo che esso sia caratteristico e distintivo per ogni hollow, nonchè indicativo dei sentimenti che accompagnano il kompaku al trapasso.
    Essendo la rabbia un sentimento viscerale, ho creduto opportuno "piazzare" la piastra sullo stomaco, enfatizzando il "viscerale" con la sede "materiale", una volta ritenuta lo stesso stomaco.


    Edited by Peppe|13|Gatsu - 4/5/2009, 00:51
     
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    Miyamoto, 1691.


    Se ne andarono, deposto il cadavere in una fossa poco profonda. Se ne andarono senza un sorriso od una piccola espressione di gioia, se ne andarono piangendo e rimpiangendo l'amara sorte del loro unico liberatore, procedevano curvi sotto l'invisibile giogo della sottomissione posto lì da crudeli governanti senza riguardo alcuno per il loro popolo.
    Il guerriero oramai morto,nella tomba giaceva, il suo corpo destinato ad imputridire, la sua anima destinata ad una sorte forse peggiore.

    Quando lo spirito riaprì finalmentegli occhi si ritrovò prigioniero, bloccato da una parete di legno tenue e sottile; alcune decine di metri di terra lo separavano dall' aria fresca della superficie.
    Il suo respiro si condensava sul suo corpo spirituale l'oscurità lo circondava...

    Era sepolto stato vivo....
    o per lo meno il suo spirito lo era.
     
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  7. Peppe|13|Gatsu
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    Dintorni di Miyamoto.




    La rabbia. Quel sentimento così portentoso. Avrebbero potuto farlo a pezzi.
    Ma non avrebbero potuto spegnerla; non avrebbero potuto spegnere quel fuoco mietitore che gli ardeva dentro.
    La tensione saliva; e con essa la pressione del sangue, sino ad alienarlo. Nonostante fosse cresciuto come una "bestia", non si era mai sentito tale come in quel momento. Come un animale con le spalle al muro, aggredito, avrebbe lottato. Non si sarebbe arreso; dietro le zanne e gli artigli avrebbe riposto la propria esistenza, pur di vendicarsi.
    Un'esplosione di primitiva aggressività, serbata per anni, che ora straripava dagli argini dell'incoscienza.





    Per quanto tempo ho dormito?


    Stremato dall'impetuosità dei moti della propria anima, aveva di nuovo perso conoscenza.
    Di nuovo una lacuna nella propria memoria. Dov'era?
    Immerso nel buio. Ci vollero pochi secondi prima di realizzare dove si trovasse.
    Il buio, l'angusto spazio, il contatto con il proprio cadavere.
    Vi era coricato sopra, stretto nell'oscurità più angusta.

    Non è possibile!


    Era stato imprigionato nella bara del proprio cadavere, chiuso da assi di legno, soffocato da chissà quanti metri di terra.
    Era sconvolto, sorpreso, smarrito.
    E' come se quel fato avverso lo stesse deridendo. In serbo per lui non v'era la morte. Una morte.
    Ve n'erano forse diverse? Illacrimate, immemori, morti?
    Fosse questa la sua condanna?

    I pensieri lo colpivano come schegge di vetro, lacerandone la tenue precarietà mentale. Poteva sentire la testa pulsare. Ancora e ancora, sempre più violentemente; quasi a volergli scoppiare.
    Era il riflesso delle proprie ansie, dettato dall'impotenza.
    Dopo essere stato la mano dell'oscura mietitrice per così tanto tempo, ora si sentiva piegato, sottomesso dal fato.
    Per la prima volta desiderava ardentemente dispensare l'amara sorte, e per la prima volta questo insano desio gli veniva negato.
    Non avrebbe mai perso la volontà di combattere, nemmeno contro il fato. Ma quest'epica battaglia sembrava soffocarlo nell'immobilità di quella bara.
    Un duello psicologico, quello che stava combattendo.
    La propria vendetta era là, qualche metro più su, oltre la terra.
    Così vicina, così distante.
    La consapevolezza di ciò lo innervosiva, ne rinvigoriva la rabbia con comburente di smania omicida.
    Colpì, coricato, diverse volte la bara nella quale era segregato.
    Uno, due, tre... quattro colpi.
    Suoni sordi sotto il manto erboso.
    Colpi carichi di rabbia, di frustrazione. Le nocche dolevano.
    Portò una mano alla bocca, leccandone il tessuto epiteliale.
    Quel sapore fuliginoso, così dolce, così incomune. Quello era sangue(?!).
    E così poteva sanguinare? Così poteva di nuovo morire?
    Ma, d'altronde, si sarebbe potuta definire vita quella castigata in una bara?

    E così è il mio sangue che vuoi eh?!
    Prendilo!


    Tornò a colpire la bara, con violenza, ripetutamente, noncurante dell'iniziale fastidio poi evolutosi in dolore che quest'atto così insensato gli procurava. Avrebbe lottato, non avrebbe ceduto.

    [...]


    Ansimava; era affannato. Le mani gli dolevano e sembravano in fiamme. Aveva picchiato, picchiato duramente contro quegli assi.
    Troppo movimento, forse, tanto che l'aria cominciava a scemare all'interno de "l'abitacolo".
    Si distese in un attimo di pausa, calcando la posa del proprio cadavere.

    Non temere. Non li lascerò impuniti...
    Otsu!




    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Ferite 7 /48
    Lacerazioni lungo le mani; microfrattura all'altezza del polso
     
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    Si dice che un uomo sprofondato nella più completa solitudine nell'oscurità sia costretto a scavare nei più profondi meandri della sua psiche, e che li si trovi davanti solo due opzioni, solo due strade percorribili...dolore e pazzia.
    Solo queste due cose si trovano in grande quantità nella mente di un essere umano e sempre si dice che solo queste siano in grado di risollevare un vivente dai più profondi crepacci della disperazione.

    Questi e molti altri pensieri ronzano insistentemente nella tua testa mentre chiuso in quell'utero ligneo cerchi disperatamentedi uscire. Il tuo sangue cola in un flebile rivolo dalle tue nocche bagnando il legno e tingendolo di rosso.

    Poicon un fruscio qualcosa inizia a muoversi e a strisciare sul tuo petto, la tua catena sta digrignando furiosamente mentre inizia a divorare se stessa e te.
    Con dolori lancinanti senti i suoi denti che lenti ma inesorabili iniziano a farsi strada versole tue viscere.

    Sollevi invano le mani, ma sbattono contro la cassa da morto. Sei impotente, tu, assassino di uomini, che avevi la facoltà di recidere la vita altrui con la mano, adesso non puoi muovere nemmeno un dito.

    Il dolore aumenta....
     
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7 replies since 27/4/2009, 00:19   162 views
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